Nel giorno del giudizio
verranno pesate solo le lacrime.
Sono stato tante volte in Egitto
e devo confessare
di essere stato sempre affascinato
dalle pitture parietali
con le scene del giudizio del defunto,
giunto davanti al dio
arbitro del suo destino.
Una bilancia
raccoglieva su un piatto
l'anima del morto,
mentre sull'altro piatto
era posata una piuma.
Solo l'anima lieve
come quella piuma,
cioè libera da colpe,
sarebbe stata ammessa
nell'eternità beata.
Era la cosiddetta "psicostasia",
la pesatura delle anime.
Lo scrittore pessimista
franco-rumeno
Emil Cioran (1911-1995)
immagina un'altra pesatura
per il giorno del giudizio,
quella delle lacrime.
È sostanzialmente
un'idea biblica perché
l'antico salmista ebreo cantava:
«Le mie lacrime, o Dio,
nell'otre tuo raccogli:
non sono forse scritte
nel tuo libro?» (Salmo 56,9).
Dio è raffigurato come un pastore
che avanza nel deserto
tenendo sulle spalle un otre,
«il pozzo portatile»
come lo chiamano i beduini,
con la riserva d'acqua
che permette di sopravvivere
prima di raggiungere l'oasi.
È, quindi, uno scrigno di vita,
prezioso e custodito con cura.
Ebbene,
il Signore nel suo otre
raccoglie le nostre lacrime,
spesso ignorate dagli altri
e ignote ai più.
Esse non cadono nella polvere
del deserto della storia,
dissolvendosi nel nulla.
C'è Dio
che le depone nel suo otre
conservandole
come fossero perle.
Ad attenderci
non c'è, dunque, l'assurdo;
né una divinità implacabile
pronta a pesare
solo le nostre colpe.
Siamo lontani
dall'amaro scetticismo
del poeta greco Eschilo
che, di fronte
all'insonne respiro di dolore
che sale dalla terra al cielo,
s'interrogava:
«Io grido in alto
le mie infinite sofferenze,
dal profondo dell'ombra
chi mi ascolterà?»
(Persiani v.
635).
Quel silenzio
è squarciato dal Dio
che pesa le lacrime
per trasformarle in luce.
Gianfranco Ravasi
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