giovedì 23 aprile 2015

Sulla tristezza



«La tristezza è una nota inevitabile 
e significativa della vita,
perché nella vita, in ogni suo momento
tu hai la percezione di qualcosa
che ancora ti manca;
la tristezza è un’assenza sofferta.

Che cosa rende buona la tristezza?

Riconoscerla come strumento
significativo del disegno di Dio.
Il disegno di Dio implica questo:
che la vita sia sempre,
in qualsiasi caso …
 soggetta alla percezione
di qualcosa che manca. 

Ed è provvidenziale questo … 
 
Che la vita sia triste
è l’argomento più affascinante
 per farci capire che il nostro destino
è qualcosa di più grande,
è il mistero più grande. 
E quando questo mistero
ci viene incontro
diventando un uomo,
allora questo fascino
diventa cento volte più grande. 

Non ti toglie la tristezza,
perché il modo con cui Dio
diventa uomo
è tale che l’hai senza averlo,
l’hai già e non l’hai ancora. … 

Non lo vediamo
 – io non vedo Lui come vedo te – ,
 so che Lui è qui perché ci sei tu,
perché ci siamo noi …

La tristezza è la condizione che Dio
ha collocato nel cuore
dell’esistenza umana, perché l’uomo
non si illuda mai tranquillamente
che quello che ha gli può bastare.

La tristezza è parte integrante,
non della natura del destino dell’uomo,
ma dell’esistenza dell’uomo,
cioè del cammino al destino,
 ed è presente ad ogni passo. 

Quanto più questo passo è bello per te,
 quanto più è incantevole per te,
quanto più è tuo, tanto più capisci
che ti manca quello che più aspetti».

(Luigi Giussani, Si può vivere così?, p. 338)


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