«La tristezza è una nota inevitabile
e significativa della vita,
perché nella vita, in ogni suo momento
tu hai la percezione di qualcosa
che ancora ti manca;
la tristezza è un’assenza sofferta.
Che cosa rende buona la tristezza?
Riconoscerla come strumento
significativo del disegno di Dio.
Il disegno di Dio implica questo:
che la vita sia sempre,
in qualsiasi caso …
soggetta
alla percezione
di qualcosa che manca.
Ed è provvidenziale questo …
Che la vita sia triste
è l’argomento più affascinante
per farci
capire che il nostro destino
è qualcosa di più grande,
è il mistero più grande.
E quando questo mistero
E quando questo mistero
ci viene incontro
diventando un uomo,
allora questo fascino
diventa cento volte più grande.
Non ti toglie la tristezza,
perché il modo con cui Dio
diventa uomo
è tale che l’hai senza averlo,
l’hai già e non l’hai ancora. …
Non lo vediamo
– io non
vedo Lui come vedo te – ,
so che Lui è
qui perché ci sei tu,
perché ci siamo noi …
La tristezza è la condizione che Dio
La tristezza è la condizione che Dio
ha collocato nel cuore
dell’esistenza umana, perché l’uomo
non si illuda mai tranquillamente
che quello che ha gli può bastare.
La tristezza è parte integrante,
non della natura del destino dell’uomo,
ma dell’esistenza dell’uomo,
cioè del cammino al destino,
ed è
presente ad ogni passo.
Quanto più questo passo è bello per te,
quanto più è
incantevole per te,
quanto più è tuo, tanto più capisci
che ti manca quello che più aspetti».
(Luigi Giussani, Si può vivere così?, p.
338)
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