Davanti a te, o
Signore,
è scoperto l'abisso
dell'umana coscienza:
può esserti nascosto
qualcosa in me,
anche se m'impegnassi di non confessartelo?
Se mi comportassi
così, io nasconderei te a me, anziché me a te.
Ma ora il mio gemito
manifesta che io dispiaccio a me stesso,
e che tu rifulgi e piaci e meriti di essere
amato e desiderato,
al punto che
arrossisco di me e rifiuto me per scegliere te,
e non bramo di piacere
né a te né a me, se non in te.
Dunque, o Signore, tu
mi conosci veramente come sono.
Ho già espresso il
motivo per cui mi manifesto a te.
Non faccio questo con
parole e voci della carne, ma con parole
dell'anima e grida
della mente, che il tuo orecchio ben conosce.
Quando sono cattivo,
l'atto di confessarmi a te non è altro
che un dispiacere a me; quando invece sono
buono,
l'atto di confessarmi
a te non è altro
che un non attribuire
a me questa bontà, poiché,
«Signore, tu benedici
il giusto» (Sal 5, 13), ma prima
lo giustifichi quando
è empio (cfr. Rm 4, 5).
Perciò, o mio Dio, la
mia confessione dinanzi a te
avviene in forma tacita
e non tacita: avviene nel silenzio,
ma è forte il grido
dell'affetto.
Dalle «Confessioni» di
sant'Agostino, vescovo
***
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