mercoledì 18 aprile 2018

A te, o Signore, chiunque io sia, sono manifesto



Davanti a te, o Signore,
è scoperto l'abisso dell'umana coscienza:
può esserti nascosto qualcosa in me,
 anche se m'impegnassi di non confessartelo?
Se mi comportassi così, io nasconderei te a me, anziché me a te.
Ma ora il mio gemito manifesta che io dispiaccio a me stesso,
 e che tu rifulgi e piaci e meriti di essere amato e desiderato,
al punto che arrossisco di me e rifiuto me per scegliere te,
e non bramo di piacere né a te né a me, se non in te.
Dunque, o Signore, tu mi conosci veramente come sono.
Ho già espresso il motivo per cui mi manifesto a te.
Non faccio questo con parole e voci della carne, ma con parole
dell'anima e grida della mente, che il tuo orecchio ben conosce.
Quando sono cattivo, l'atto di confessarmi a te non è altro
 che un dispiacere a me; quando invece sono buono,
l'atto di confessarmi a te non è altro
che un non attribuire a me questa bontà, poiché,
«Signore, tu benedici il giusto» (Sal 5, 13), ma prima
lo giustifichi quando è empio (cfr. Rm 4, 5).
Perciò, o mio Dio, la mia confessione dinanzi a te
avviene in forma tacita e non tacita: avviene nel silenzio,
ma è forte il grido dell'affetto.



Dalle «Confessioni» di sant'Agostino, vescovo


***

 


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